Un testo dedicato alle persone che hanno visto o letto, come me, l’opera di Beckett “Aspettando Godot”. Ma anche a quelli che non sanno di che cosa sto parlando, ma che si possono godere un testo sulla base della felicità e l’abilità di sognare in tempo reale :
Tendere ad aspettare qualcosa che non arriverà mai.
Raccchiuso nella propria bolla di tempo fermo, ognuno di noi vive la propria assurdità
senza spiegazioni. Ma Godot ci insegna che la nostra vita non è nient’altro che una
commedia che guarda criticamente sè stessa : finte relazioni, perdita della propria identità,
gli stessi brutti pensieri da sempre che ci “picchiano” da dentro ogni giorno, il tempo
che passa troppo in fretta, portandosi via tutte le opportunità perse…
E chi potrebbe essere Godot? L’amore, che non arriva mai? La solitudine che ci avvolge nel
suo abbraccio mentre l’aspettiamo? La felicità che, essendo una cosa che dipende
completamente da noi, nessuna quantità di tempo potrebbe formare?
Perchè pure incapaci di trovare sè stessi e sentendo la pesantezza del mondo adosso, con
tutte le decicisioni da prendere, di cui è costruita la nostra vita, si può essere felici, si può
essere innamorati, si può… Si deve però prima abbandonare la stupida tendenza umana
di percorrere e aggrapparsi alle cose sbagliate o impossibili. Oppure sbagliati e impossibili. Insieme all’aroganza di pensare solo a noi stessi, senza dare nemmeno uno sguardo al punto di vista altrui. Senza dare colpa agli altri della nostra infelicità.
Ma sognare di essere felici non basta, perchè il tempo passa. Sogniamo i sentimenti, mentre quello di cui abbiamo bisogno, è svegliarci e non ingannarci ad andare lontano con la solita speranza che le cose cambieranno.
“Non appena qualcuno si mette a piangere, un altro chi sa dove, smette” – una frase
rappresentativa delle cose che se ne vanno via senza che ce ne accorgiamo. E qua arriva
l’esigenza di vedersi tramite gli occhi altrui. Per capire come siamo visti ma sopratutto chi
siamo.
Rendersi conto che esiste sempre qualcuno con “una misura piὺ piccola” della nostra, cosὶ
come con “una misura piὺ grande”. E va bene cosὶ. Anzi, va benissimo.
Facendo parte dell’umanità – “quella sporca razza in cui ci ha cacciati la sfortuna”, il tempo
è “lungo”, riempito di movimenti di abitudine. Però l’evoluzione personale dentro di noi
esiste. E l’incapacità di riconoscere dei posti cambiati col tempo è la conferma.
“Si nasce tutti pazzi, alcuni lo restano”
Io mi ritengo pazza e credo che tutti lo siano.
Non esiste ormai una persona sana e ripeto – va benissimo cosὶ. In questo mondo in cui ci
troviamo, già la normalità non solo non ci interessa, ma non serve a niente. Abbiamo
danneggiato cosὶ tanto la vita, insieme a noi stessi, che essere matto è un’esigenza ormai.
Vladimiro ed Estragone invece li interpreterei come metafora della relazione tra uomo e
vita – amanti, amici, si odiano, poi si rimettono insieme. Loro due sono la partenza. E la
partenza è difficile. Essa è un concetto fondamentale della vita. Perchè “non riesco a
partire” è dimenticarsi d’essere felici e non saper riconoscere l’infelicità. Perchè non siamo
mai pronti – pronti per partire, per capire, per acettare, per essere consapevoli, per
cambiare…
La mia riflessione su “Aspettando Godot” è che le cose non si devono aspettare, ma si
devono creare. O se si devono aspettare, deve diventare un piacere, una delizia, che ti godi
non solo quando la consumi, ma mentre l’aspetti, la guardi… Come la vita. Come tutta la
vita. Che vista come un aspettare infinito non sarebbe altro che una pura e inutile perdita
di tempo. Perchè si arrichisce anche vivendo le vicende brutte.
Il segreto è saper riprendersi da soli. Stare da soli. Perchè se no, una volta persi dentro di
noi, nessuno ci potrà piὺ trovare.